Fu in quel tempo di marzo che nel cielo, guardando alla città di sera, al volo delle sue prime rondini, più solo mi vidi, ma con tutti.
Come a un gelo dischiuso dal tepore, gli occhi fissi all’accadere di quel mutamento, ricordavo nel vivere che vissi.
E distratto, così nel farmi intento al mio segreto sorgere dal nulla, trovavo nella voce le parole da raggiungere, padre, madre, culla,
la terra che s’illumina nel sole.
Nel cielo di Milano d’agro e d’oro, nella sera di marzo, per l’oriente, affacciata a guardare era la gente;
della mia voce e del mio volto, coro di povertà che invoca dalle cose il suo nome perpetuo.
non rispose l’azzurro che vedevo farsi oscuro presentimento, non rispose il muro.
Takis Tsiakos (1909-1997), nella traduzione di Cristino G. Sangiglio:
Così immaginai e così promisi, e un Marzo ho legato al collo con un nastro di seta bianca e rossa.
Ed ora sto lottando col sole.
E dico: catturerò la luce che spande sulla riva – chissà cadrà in una rete
o s’impiglierà a un amo – se farò filo e filatura.
Tanto e tanto desiderio m’ha preso di mettermi un vestito tutto oro, di vestirmi di luce e di sole!
E avere per amuleto il sole.
Che male c’è, o sorte che mi tormenti? Benedico la tua immensa Grazia.
Mio Dio, ch’io solo mi consumi per il sole.
Nico Orengo (1944-2009):
Fiorisce di marzo il mare, in cristalli di spuma,
barchette di san Giovanni, che s’arenano e sfanno
in gelatine chiare, sulle alghe della spiaggia:
fresche avvertono, che son fiorite
le calendole del fondale.
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