Con l’ordinanza in commento del 17 febbraio 2016, il Tribunale di Rimini sgombra preliminarmente il campo da ogni dubbio in merito alla sussistenza della legittimazione attiva della associazione di consumatori e, nel respingere l’eccezione sollevata sul punto dall’istituto bancario, stabilisce che «tale associazione è legittimata ad agire per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori ex art. 139 comma 1° cod. cons., tra i quali rientrano, per espresso richiamo […] i diritti riconosciuti dall’art. 2 comma 2° cod. cons. che, nel caso di specie, si assumono violati [...] a seguito dell’inserimento di clausole anatocistiche nei contratti di c/c».
In punto di legittimazione attiva, dunque, il Giudice riminese aderisce alla tesi della ricorrente secondo cui i diritti alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali coincidono con gli interessi collettivi per la cui tutela l’associazione di consumatori è legittimata ad agire in giudizio e che, nel caso di specie, si assumono violati dalla banca convenuta a seguito dell’inserimento di clausole anatocistiche nei contratti di conto corrente stipulati con i consumatori.
Spiega il Tribunale che «le clausole che prevedono interessi anatocistici, infatti, laddove ritenute in violazione di una previsione normativa di nullità, dovrebbero sicuramente considerarsi clausole poste in violazione “alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali” (art. 2, 2° comma lettera e del codice, come detto richiamato in punto di legittimazione dall’art. 139 del codice), posto che in un contratto stipulato secondo correttezza ed equità non potrebbe certamente essere inserita una clausola nulla in quanto contraria all’ordine pubblico».
Il principio espresso risulta conforme a quanto già precedentemente affermato in altre numerose pronunce della giurisprudenza di segno analogo. Di recente, anche il Tribunale di Milano nelle ordinanze del 3 aprile, 25 marzo e 1 luglio 2015 – tutte pubblicate in questa Rivista – si è pronunciato a favore della sussistenza della legittimazione attiva della associazione di consumatori ricorrente ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. e), del codice del consumo, perché essa «ha agito lamentando la violazione del diritto fondamentale alla correttezza nei rapporti contrattuali ad opera della clausola anatocistica applicata dalla Banca convenuta», non ritenendo coerente attribuire «una portata riduttiva al diritto alla correttezza nei rapporti contrattuali, riconosciuto dall’art. 2, cod. cons., tale paradossalmente da escludere l’azione collettiva proprio per le condotte più gravi, quali quelle che comportino, in tesi, l’applicazione di clausole illecite».
Ciò premesso in punto di legittimazione attiva, il provvedimento in esame si segnala in particolare per aver respinto il ricorso cautelare presentato dalla associazione di consumatori per mancanza del periculum in mora, ritenendo insussistente, nel caso concreto, il presupposto dell’urgenza previsto per l’azione inibitoria cautelare dall’art. 140, comma 8, del codice del consumo.
Viene, infatti, chiarito che, ai fini dell’accesso allo strumento cautelare nei confronti dell’istituto di credito, occorre che il periculum in mora sia «connotato in termini di danno non bagatellare» e, dunque, che si possa addurre l’esistenza di un danno che presenti una qualche gravità, considerato altresì che «i motivi di urgenza non possono essere individuati nel semplice carattere di diffusività della lesione, perché gli interessi “collettivi” riguardano già la molteplicità dei consumatori». Nemmeno possono ravvisarsi i “giusti motivi di urgenza”, secondo il Tribunale, «nella potenziale reiterabilità della lesione, che deriverebbe dall’inserimento delle clausole avversate all’interno di contratti di durata (per loro natura destinati a produrre i loro effetti nel tempo)».
Prosegue ancora il Giudice riminese precisando che «se fosse sufficiente tale circostanza a legittimare l’azione inibitoria cautelare, allora tale azione sarebbe sempre esperibile in materia di contratti di durata, venendosi così a creare […] una perfetta coincidenza tra i presupposti dell’inibitoria ordinaria (ex art. 140 cod. cons.) e dell’inibitoria cautelare(ex art. 140 comma 8° cod. cons.)». Ritiene, invece, il Giudicante che un’azione cautelare tipicamente connotata dal requisito dell’urgenza non possa «essere attivata in presenza di una semplice possibile applicazione reiterata di una clausola contrattuale, laddove dalla potenziale applicazione della stessa non possa derivare o alcun danno per i consumatori o un danno di modesta entità».
L’ordinanza in commento si distingue, dunque, sotto questo profilo, dai precedenti resi sul punto dalla giurisprudenza più recente e si pone, in particolare, in netto contrasto con quanto affermato nella ordinanza del Tribunale di Biella del 7 luglio 2015 - pubblicata in questa Rivista –, che aveva, al contrario, ritenuto sussistente il periculum in mora, rinvenendo i “giusti motivi di urgenza” sia nella «capacità delle clausole contestate di continuare a produrre i loro effetti», sia nella «potenziale reiterazione della lesione, discendente dalla possibilità che la medesima clausola nulla sia inserita in nuovi contratti dello stesso tipo con richiamo alle medesime condizioni generali». Il Tribunale di Biella faceva dunque appello alla normativa europea ed alla «necessità di assicurare la tempestività e l’effettività della tutela dei consumatori, che meglio risponda alle tempistiche del mercato spesso non coincidenti con la lunghezza dei tempi processuali (…) mediante un pronto e rapido intervento giurisdizionale volto a garantire la cessazione della violazione degli interessi collettivi dei consumatori fatti valere».
Viceversa, nel caso di specie, il Giudice riminese ha escluso «l’esistenza di un fondato timore di verificazione di un danno che superi la soglia minima di gravità in capo ai consumatori e tale da giustificare una inibitoria urgente», posto che, in concreto, «l’unico danno prospettabile è l’applicazione di interessi anatocistici» e che «tale pericolo di danno patrimoniale non riveste sufficiente serietà (gravità) da richiedere una tutela urgente».
Al contempo, il Tribunale coglie l’occasione per puntualizzare che, in assenza dei “giusti motivi di urgenza” «le associazioni bene potranno promuovere azioni ordinarie (non urgenti) sempre aventi analogo contenuto inibitorio», anche nella forma del rito sommario di cognizione ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c.. Si legge, infatti, nell’ordinanza in commento che «dalla normativa europea si evince il principio per cui la tutela cautelare è necessaria solo nel caso in cui l’effettività della tutela non sia erogabile in modo tempestivo con il giudizio ordinario» e che «l’’azione inibitoria ordinaria, essendo controversia sottoposta alla decisione del Tribunale in composizione monocratica, può essere decisa con rito sommario di cognizione ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c.», il quale «consente la definizione in tempi assolutamente ragionevoli [..] e del tutto compatibili con le istanze di tempestività provenienti dal legislatore comunitario».
Il provvedimento in esame sembra, quindi, voler fare un passo indietro anche rispetto al precedente rappresentato dall’ordinanza del Tribunale di Bologna n. 15233 del 7 dicembre 2015, che aveva deciso il merito della controversia senza pronunciarsi in punto alla ammissibilità del ricorso cautelare d’urgenza ex artt. 37 e 140, 8° comma del codice del consumo presentato da una associazione di consumatori. Anche nella fattispecie sottoposta all’attenzione del Giudice bolognese il ricorso in via d’urgenza era volto a far dichiarare l’illegittimità della condotta della banca alla luce del nuovo art. 120 TUB, come modificato dalla Legge n. 147/2013 (cd. legge di Stabilità 2014), con analoga richiesta di inibitoria di ogni ulteriore forma di anatocismo degli interessi passivi nei contratti di conto corrente stipulati con i consumatori. In quella sede, il Tribunale bolognese – ribaltando l’orientamento precedentemente espresso dalle citate ordinanze del Tribunale di Milano e del Tribunale di Biella - aveva respinto la domanda cautelare ritenendo la condotta della banca conforme al disposto di legge, per essere la disciplina di cui al nuovo art. 120, comma 2, del TUB in tema di calcolo degli interessi nelle operazioni bancarie non concretamente applicabile fino al momento dell’emanazione della delibera CICR ivi prevista. Spiegava, infatti, il Tribunale di Bologna che è lo stesso art. 120 TUB che rimanda ad una delibera CICR le modalità ed i criteri per la produzione di interessi, sia pure con i limiti posti dalla normativa primaria, in stretta aderenza al disposto di cui all’art. 161, 5° comma, TUB, con ciò sancendo che in tale materia l’iter legislativo non può essere definito/completato se non all’esito dell’emanazione anche della normativa secondaria.
Nel caso in esame, invece, il Giudice riminese non si addentra in modo espresso nelle questioni relative alla interpretazione del divieto di anatocismo posto dal nuovo art. 120 T.U.B., limitandosi a dare atto dei contrastanti orientamenti espressi dalle citate ordinanze del Tribunale di Milano rispettivamente del 25 marzo 2015 e del 3 aprile 2015, da un lato, invocate dalla associazione di consumatori a sostegno della tesi del carattere assoluto del divieto di anatocismo in materia bancaria posto dal nuovo art. 120, comma 2, TUB; e dalla ordinanza del Tribunale di Bologna del 7 dicembre 2015, dall’altro lato, richiamata dall’istituto di credito convenuto a supporto della interpretazione che subordina l’operatività della disposizione normativa primaria alla emanazione della delibera attuativa del CICR, ad oggi non ancora adottata.
Fonte: Tribunale di Rimini, 17 febbraio 2016
Nessun commento:
Posta un commento