Nora è una delle tante bambine che lavorano nelle botteghe sartoriali, sfruttate e sottopagate, che, nel dialetto milanese dell’epoca, venivano chiamate piscinine.
È cresciuta senza amore, con la colpa di essere nata femmina in una famiglia che avrebbe desiderato un altro maschio per poter vivere meglio.
Per questo i fratelli la ignorano e la madre non le ha mai dato una carezza. Le uniche attenzioni, quelle del padre, svaniscono quando diventa evidente che la sua balbuzie rimarrà un difetto permanente.
Queste colpe gravano su di lei quanto e più del “telegramma”, il cestino che le piscinine si caricavano sulla schiena per le consegne degli opifici tessili. Neanche il suo aspetto la aiuta, non ha ancora sviluppato il seno quando Angelica e Lisa, le sue due amiche, già portano il corsetto per valorizzare le forme da donna e i boccoli ben definiti col ferro.
Così si rende invisibile, si nasconde tra la folla di quel corteo di bambine che lei stessa ha organizzato ma che non può guidare perché una vera leader deve saper parlare e a lei le parole sono sempre state nemiche.
È un periodo di rivolte e scioperi, tra fine Ottocento e inizio Novecento, di scontri che sfociano nei moti di Milano, a cui partecipa il padre di Nora, convinto liberale, che purtroppo muore durante la protesta del pane, davanti ai cannoni di Bava Beccaris.
Alle dieci giornate di sciopero del 1902, a Milano, prendono parte bambine e giovanissime modiste, apprendiste sarte, corriere. Tra queste, Nora, incastrata in quel miserabile destino di sfruttamento al contrario di Angelica e Lisa, che stanno per sposarsi.
Il loro rapporto di amicizia è lastricato di gelosie e invidie. Loro sono più belle, più desiderabili, sanno cantare e ammaliare gli uomini, tutte doti che permetteranno loro di emanciparsi, anche a costo di tradirsi a vicenda.
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