Infatti, tra le leggende medievali più note e tramandate della storiografia, dal paganesimo sino all’età cristiana in Europa, vi è sicuramente quello legato a presunte divinità o spiriti dei boschi.
Le leggende narrano, di volta in volta, esseri diversi, femminili o maschili che siano. Ma la figura certamente più nota, oltre ai classici gnomi e folletti, è quella del fauno: l’umanoide con zampe animalesche guardiano delle selve e delle bestie.
Chiamato talvolta fauno, legato al culto di Pan, è appellato anche come silvano o satiro. Un essere né uomo né fiera, ma una fusione di entità. Tutto e niente. Concreto e visibile oppure sfuggente e illusorio come il soffio del vento. Già in età antica simboleggiava l’euforia, la perdita di razionalità e dei sensi del quotidiano. L’abbandonarsi alla musica e al canto, sulla scia dionisiaca. Un suono di flauto che poteva confondere, ammaliare, far perdere l’orientamento.
Entità insomma ambigue, capaci di fornire estremi piaceri, ai limiti dell’orgiastico, ma anche di far smarrire, fisicamente e mentalmente.
Un mito “peggiorato” dai racconti medievali, certamente alimentati da una certa propaganda religiosa, specialmente nelle fasi di cristianizzazione forzata dell’Europa pagana, dove gli antichi idoli classici, gli antichi culti propiziatori e le antiche usanze andavano cancellate e demonizzate.
Quindi, i fauni diventano incubo, un demone così definito dai cristiani, legato al male e al peccato.
Un qualche ruolo, nella costruzione della leggenda medievale devono aver avuto anche i momenti storici in cui le foreste, i boschi, i luoghi aperti e lontani dalla sicurezza quotidiana, suscitavano timori ed evocavano possibili pericoli, imboscate, rappresentando quindi avventure incerte da evitare.
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