Il fumettista e, padre del Manga moderno, perse un braccio durante la guerra.
Ma, nonostante tutte le difficoltà, imparò a usare (magistralmente) l’altro!
Ha perduto un braccio, sotto i bombardamenti, Shigeru Mizuki, e questa perdita, da mancino, lo obbligherà a disegnare con la mano destra.
Shigeru Mizuki raccontava le storie della tradizione shinto giapponese, reinterpretandole.
Non mancava mail un alone di mistero.
Così, come le avventure di mostri minacciosi e degli Yokai.
Aveva fatto clamore con la sua opera del 1966, Kitaro dei cimiteri, in cui lo sguardo macabro era filtrato dallo humour che aveva il suo corrispondente occidentale forse, solo in Chas Addams, creatore degli Addams, per le pagine del «New Yorker».
Ma già in Kitaro, a differenza dell’americano, Mizuki mostrava una verve narrativa a lungo respiro, che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.
Pubblicò per la rivista underground «Garo» e divenne in breve un’icona del Mangae del Gekiga (il fumetto drammatico) facendo subito genere a sé.
La storia del periodo Showa, raccontata in otto volumi tra il 1988 e il 1989, è un racconto fiume di oltre 2.500 pagine, che attraversa la storia del Giappone.
Mizuki ha allora 66 anni.
Storia e vicende personali si intrecciano: la guerra travolge tutto e tutti, con il suo dolore e la sua
insensatezza.
Il soldato Mizuki descrive una realtà non conforme alla tradizione di un Paese votato all’estremo sacrificio.
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