Parole a rivoli, a fiumane, a seconda che ruscellino di sottilità interiori oppure grandinino meta-significanze civili.
Con Roberto Vecchioni in fondo è sempre una questione di logos, di rabbia e di stelle (per citare il titolo di un suo disco). Parole a migliaia – disseminate a voce, per libri, canzoni – e mai qualcuna che vada fuori posto, pronunciata o scritta lì per caso. Le pagine firmate di suo pugno per l’imprescindibile Canzoni (Bompiani 2021, con il commento di Massimo Germini e Paolo Jachia), come si usa dire valgono da sole il prezzo del volume. Roberto Vecchioni è un intellettuale che non si parla addosso: le sue parole suonano, che le canti o che le affabuli non fa molta differenza.
In Roberto Vecchioni la semantica delle frasi si coniuga alla fisiognomica del lemma (l’ha scritto: le parole lui le vede): un battaglione a ranghi compatti di significanti e significati che sa dove vuole arrivare. E ci arriva.
Su questa scia, la lettura di Canzoni scorrazza fluente e in forma significativa.
Aldilà dei contenuti inediti sulle origini di molte canzoni Samarcanda, in primis, che si possono rintracciare fra le pagine.
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