Hans e Martha si amano di un amore folle e travolgente, consumato al riparo delle quattro mura di una baita fuori città, di proprietà del padre di Hans, Arno.
In quella casa sperduta nel bosco, i due giovani si sono sfiorati per la prima volta, e soltanto lì sono scomparsi paura e pudore. Hans ha perciò provveduto a fare una copia delle chiavi della baita, gelosamente custodite da suo padre.
Un giorno, però, giunto davanti all'ingresso della casetta per incontrarsi con Martha, il giovane ha un'amara sorpresa: nella radura dinnanzi all'abitazione è parcheggiata l'auto gialla di Gordon Kwart, un amico di suo padre.
Accostatosi alla finestra, Hans avvicina l'orecchio al muro e sente un grido provenire dall'interno, uno straziante grido di dolore e poi una voce agitata. Benché sia spaventato a morte, afferra la sua chiave, apre la porta e si trova al cospetto di una scena sconvolgente.
Nella stanza in cui aleggia un acre odore d'urina, un uomo seduto su un letto di ferro, i piedi legati con una cintura di cuoio, la camicia un tempo bianca macchiata di cibo, ripete: «Perché io sono... stato sorvegliante in un lager...», mentre Arno Bronstein gli colpisce bruscamente lo sterno a ogni sillaba...
Con "I figli di Bronstein", Becker riflette sul tema della Shoah, raccontando con drammatica lucidità l'impotente violenza delle vittime che si trasformano in persecutori, senza per questo riuscire a sfuggire all'angoscia e al risentimento.
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