L’agonia della superpetroliera Haven durò quattro giorni, dal 11 al 14 aprile 1991. L’affondamento davanti Arenzano provocò la morte di 5 uomini dell’equipaggio e lo sversamento sui fondali del Mar Ligure di oltre 134 mila tonnellate di petrolio.
Numerosi studi scientifici, negli anni a seguire, hanno stabilito che l’eredità inquinante della Haven continua oggi e continuerà ancora perlomeno nei prossimi 10 anni a produrre i suoi effetti negativi sull’ecosistema marino.
L’Haven, con i suoi 18 anni di vita, è sempre stata considerata una “carretta del mare”. Durante il viaggio dall’Arabia Saudita alle coste italiane l’equipaggiò rilevò e comunicò agli armatori numerosi, gravissimi malfunzionamenti a strumenti e macchinari fondamentali.
Nonostante tutti questi riscontri, in sede di giudizio non si riuscirono a inchiodare gli armatori alle loro responsabilità e lo Stato italiano subì un vero e proprio schiaffo accettando addirittura un risarcimento calcolato non sul massimale in vigore all’epoca dell’affondamento della Haven, equivalente a 770 miliardi di lire, ma quello che fu valido solo a partire dal 1994, pari a circa 1/7 di quanto allora stabilito.
In conclusione l’Italia si è accontentata di 117 miliardi e 600 milioni di lire. Una cifra irrisoria rispetto al caso della Exxon Valdex in Alaska, dove per uno sversamento analogo di petrolio la multinazionale ESSO pagò ai soggetti pubblici e privati danneggiati l’equivalente di 7.700 miliardi di lire (la metà dei quali per il solo danno ambientale).

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