Odora di mandorle. E’ larga 50 chilometri. Viaggia a 5 chilometri l’ora. L’onda di cianuro partita il 31 gennaio 2000 dalla miniera d’oro Esmeralda, ad Auriol, in Romania, dopo aver ucciso i due affluenti che le hanno permesso di arrivare al Danubio, punta decisa alla foce del fiume blu, cioè alla più grande zona umida d’Europa, uno dei pochi paradisi naturali sopravvissuti nel vecchio continente.
Centomila tonnellate di acqua contaminata hanno spazzato via ogni forma di vita lungo il corso del Tibisco e dello Smamos, lasciando rive intrise di metalli pesanti e coperte da un tappeto di pesci e uccelli morti.
La diluizione ha abbassato l’impatto immediato del veleno che aveva raggiunto valori 800 volte superiori ai limiti consentiti, ma, sebbene diluito, il cianuro resta una minaccia terribile per il Danubio, il più importante serbatoio europeo di biodiversità ittica e di avifauna.
Le accuse più gravi riguardano la dinamica dell’incidente che ha causato il disastro. Secondo la società rumeno-australiana che possiede la miniera Esmeralda la colpa è di un fenomeno naturale: il disgelo avrebbe fatto tracimare una diga in terra che chiudeva il laghetto in cui vengono contenute le acque di risulta della lavorazione dell’oro.