Comincio dalla metafora dell’aragosta che determina titolo e contenuti del saggio di Stefano De Matteis Il dilemma dell’aragosta (Meltemi, 2021). Il succo metapoietico è questo: l’aragosta nasce priva del carapace che ne determina la morfologia adulta.
Quando l’esoscheletro viene a formarsi al punto da raggiungere dimensioni molto ingombranti, il crostaceo sceglie di disfarsene, ritornando alla nudità primigenia della nascita.
Fino al ricostituirsi naturale del guscio, l’aragosta si trova indifesa, fragile, esposta ai pericoli ambientali, ma nonostante ciò rischia per un cambiamento di condizione che avverte funzionale alla sua vita.
Quanti di noi riuscirebbero a fare altrettanto con le corazze soffocanti delle norme, delle abitudini, delle sovrastrutture suggestionanti del Sistema? Fino a che punto saremmo capaci di chiamarci fuori dal coro, dal branco, misurarci col limite, il cambiamento, l’ansia dell’esposizione alla metamorfosi?
Se l’aragosta obbedisce all’istinto di salvaguardia individuale, l’individuo-massa del Capitale è talmente sottomesso alle leggi artificiali del consumo che non ce la fa. Ancorato com’è all’illusorio e nevrotizzante status quo, tira avanti con la sua armatura addosso fino all’asfissia.
Sul terreno del coraggio aragosta batte sapiens 6 a 0. Rispetto a situazioni di limite (interiori o circostanziali come quelle dettate dalla pandemia) l’attuale cittadino-zombi si rivela inadeguato, in quanto in primo luogo incapace di fare fronte a sé stesso e ad abitudini/condizioni diverse da quelle dettate dalla bulimia consumistica indotta.
Nel milieu della diffusione del Covid-19, piuttosto che cogliere l’eccezionale occasione di “vuoto” (il tempo sospeso dei lockdown, delle città private del traffico, della dimensione altra dettata dal silenzio) e riflettere sulle cause del collasso planetario, i paladini della ripresa (economica) insistono sulla strada lastricata delle buone intenzioni dell’inferno, continuando a ignorare le evidenti degenerazioni del sistema globale.
Quanti anni luce dista la progenie-zombi del Capitale, dall’atavica preveggenza dell’aragosta? La dismissione della propria armatura interiore-esteriore – al modo delle aragoste quando questa diviene insopportabile – è la sola strada possibile per riappropriarsi del sé, riflettere autonomamente, assumersi il rischio delle scelte, confrontarsi ed elaborare il senso del proprio limite, confrontarsi col prossimo.
La pars costruens agevolata da Il dilemma dell’aragosta costituisce, in tal senso, un manifesto potenzialmente disalienante.
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