Era un sabato, pioveva, nella notte si erano sentiti degli spari nel quartiere ebraico di Roma.
Meglio non uscire, aspettare di capire cos’era successo.
È stato così che in quel 16 ottobre del 1943 più di mille ebrei sono caduti nella rete della spietata razzia per mano dei soldati tedeschi.
Sentir parlare di mille persone, strappate con violenza dalla loro casa e, destinate a un’ignota sorte, è fattore di grande sofferenza ma non è sufficiente. Per forza di cose, non può che essere vissuto come in un unico corpo di dolore.
Le singole persone con le loro singole vite non trovano spazio per affiorare. Poveri o ricchi, bambini, giovani, vecchi, coraggiosi o apatici, preparati o sprovveduti, sono questi, uno per uno, a formare le migliaia di esseri umani rimasti vittime di quel “male assoluto”.