Un padre sopravvissuto al campo di Auschwitz, un figlio che gli vive accanto e si assume il compito di dare voce al suo silenzio. Ogni volta che posso chiedo a mio padre di parlarmi di Lodz, della sua famiglia, di Auschwitz.
Nel farlo sollevo automaticamente la manica della sua camicia, mettendo a nudo il numero tatuato sul suo braccio. Mentre mi parla continuo a fissare quel numero che diventa uno schermo capace di trasformare istantaneamente le sue parole in immagini.
