Il nibbio, durante il primo periodo della sua esistenza, aveva posseduto una voce, certo non bella, ma comunque acuta e decisa. Egli, però, era sempre stato nutrito da una incontenibile invidia di tutto e di tutti.
Sapeva di essere imparentato con l'aquila, ma questo, invece di costituire un vanto, non faceva altro che alimentare la sua gelosia: capiva di essere inferiore e si rodeva dalla rabbia per questo. Invidiava gli uccelli variopinti come il pappagallo e il pavone, lodati e vezzeggiati da tutti. Inoltre, si mostrava sprezzante nei riguardi dell'usignolo, dicendo tra sé:
"Sì, ha una bella vocetta ma é troppo delicata e romantica! Roba da donnicciole! Se devo cercare di migliorare la mia voce certamente non prenderò come esempio questo stupido uccello. Io voglio una voce forte, che si imponga sulle altre!"
Era un bel giorno di primavera. Il nibbio se ne stava tranquillamente appollaiato sopra un ramo di faggio, riparato dalle fresche fronde della pianta. Inaspettato, giunse un cavallo accaldato che, cercando un po' di refrigerio, andò a riposarsi all'ombra dell'albero.