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28 mar 2019

Le uova fiorite

Le uova fiorite
C'era una volta un coniglietto che voleva regalare a due bambini suoi amici tante uova di Pasqua. Per fare una sorpresa, cercava un posto dove nascondere le uova. All'alba si avvicinò alla casa dei bambini col suo sacchetto rigonfio. 

Il prato lì davanti era tutto coperto di fiori di croco, bianchi, gialli e azzurri, che rassomigliavano a tante uova colorate. Il coniglietto nascose le uova tra i fiori e se ne tornò a casa. 

26 mar 2019

Prezzemolina di Giambattista Basile

Prezzemolina  di Giambattista Basile
C'erano una volta due sposi che abitavano in una bella casetta. Da una finestra si vedeva un orto circondato da un alto muricciolo. Nessuno vi aveva mai messo piede perché apparteneva a un'orca molto cattiva.

Un giorno la moglie, che aspettava un bambino, guardando in quel pezzo di terra, scorse una bellissima aiuola seminata a prezzemolo. Vederlo e provarne un immediato desiderio fu tutt'uno. Aspettò la penombra della sera e furtivamente si calò nell'orto, colse una grande manciata di prezzemolo e scappò via. L'indomani fece lo stesso. Mangia oggi e mangia domani l’orca, che era golosissima di prezzemolo, si accorse che qualcuno ne stava portando via ogni giorno una bella quantità. Volle scoprire chi lo rubava e a sera perciò si nascose dietro un cespuglio.

Ed ecco, sull'imbrunire, scendere di nuovo la donna che, appena giunta a terra, rimase terrorizzata nel vedere davanti a sé l'orribile orca.

- Come ti permetti di rubare quanto mi appartiene? ­ gridò questa afferrandola per un braccio - Te ne pentirai!
- Scusatemi, signora orca, perdonatemi - piangeva la povera donna. - Ho voglia di prezzemolo perché aspetto un bambino.
- Se le cose stanno così - continuò la vecchia con lo stesso sguardo feroce di prima - prendine quanto ne vuoi. Ma dovrai darmi il bambino che ti nascerà.

Gian Babbeo di Hans Christian Andersen

Gian Babbeo di Hans Christian Andersen
In campagna c'era una fattoria dove abitava un fattore con due figli, con tanto cervello che anche la metà sarebbe bastata. Volevano chiedere in sposa la figlia del re e avrebbero osato farlo perché lei aveva fatto sapere che avrebbe sposato chi sapeva tenere meglio una conversazione. I due si prepararono per una settimana, il periodo più lungo concesso, ma per loro sufficiente perché avevano già un certa cultura il che tornò loro utile. Uno conosceva tutto il vocabolario latino e le ultime tre annate del giornale del paese che sapeva recitare da capo a fondo e viceversa, l'altro si era studiato tutti i regolamenti delle corporazioni d'arti e mestieri e aveva imparato tutto quello che deve sapere il decano di una corporazione, così pensava di potersi pronunciare sui problemi dello stato, e inoltre imparò anche a ricamare le bretelle, dato che era di gusti raffinati e molto abile. "Io otterrò la figlia del re!" dicevano entrambi. 

Il padre dette a ognuno un bellissimo cavallo; l'esperto di vocabolario e di giornali lo ebbe nero come il carbone, quello che era saggio come un vecchio decano e che sapeva ricamare, bianco come il latte. Poi si unsero gli angoli della bocca con olio di fegato di merluzzo, in modo che scorressero meglio. Tutti i servitori erano andati in cortile per vederli montare a cavallo; in quel mentre sopraggiunse il terzo fratello; infatti erano in tre, ma il terzo nessuno lo teneva in considerazione perché non aveva la stessa cultura degli altri due e difatti lo chiamavano Gianbabbeo. 

"Dove state andando vestiti così a festa?" chiese.
"A corte per conquistare con la conversazione la figlia del re. Non hai sentito quello che il banditore ha annunciato in tutto il paese?" e glielo raccontarono. 
"Accidenti! Allora vengo anch'io!" esclamò Gianbabbeo, ma i fratelli risero di lui e se ne partirono. 
"Padre, dammi un cavallo!" gridò Gianbabbeo. "Mi è venuta una gran voglia di sposarmi. Se mi vuole, bene, e se non mi vuole, la voglio io." 
"Quante storie!" disse il padre. "Non ti darò nessun cavallo. Tu non sei in grado di conversare; i tuoi fratelli sì che sono in gamba!" 
"Se non posso avere un cavallo" concluse Gianbabbeo "mi prenderò il caprone, quello è mio e mi potrà certo portare." 

E così montò sul caprone, lo spronò con i calcagni nei fianchi, e via di corsa per la strada maestra. Oh, come cavalcava! "Arrivo!" gridava, e si mise a cantare a squarciagola.

I fratelli cavalcavano avanti a lui in silenzio; non dicevano una parola perché dovevano pensare a tutte le belle trovate che avrebbero avuto, per poter conversare con arguzia. 

"Ehi, là!" gridò Gianbabbeo "arrivo anch'io! Guardate cosa ho trovato per strada!" e mostrò loro una cornacchia morta. 
"Babbeo!" risposero i due "cosa vuoi farne?" 
"Voglio donarla alla figlia del re!" 
"Fai pure" dissero ridendo e ripresero a cavalcare. 
"Ehi, voi, arrivo! Guardate cos'ho trovato adesso, non è una cosa che si trova tutti i giorni sulla strada maestra!..." 
I fratelli si voltarono di nuovo per vedere che cos'era. 
"Babbeo!" dissero "è un vecchio zoccolo di legno a cui manca la punta! Anche questo è per la figlia del re?" 
"Certo!" rispose Gianbabbeo; i fratelli risero e cavalcarono via distanziandolo di un bel pò. 
"Ehi, eccomi qui!" gridò Gianbabbeo. "Oh, oh! va sempre meglio! Ehi, è una vera meraviglia!" "Cos'hai trovato adesso?" chiesero i fratelli. 
"Oh, una cosa incredibile!" disse Gianbabbeo "chissà come sarà contenta la figlia del re!" 
"Mà" esclamarono i fratelli "è fango appena preso dal fosso!" 
"Proprio così" rispose Gianbabbeo "e della migliore qualità, non si riesce neppure a tenerlo!" e si riempì la tasca. 

I fratelli cavalcarono via, spronando il più possibile i cavalli, e giunsero un'ora prima di lui alla porta della città dove ricevettero un numero d'ordine, come tutti gli altri aspiranti man mano che arrivavano. Poi venivano messi in fila, sei alla volta, e stavano così stretti da non poter muovere le braccia; ma era meglio così perché altrimenti si sarebbero rotti le costole a gomitate soltanto perché uno si trovava davanti all'altro.

Tutti gli altri abitanti del paese si erano riuniti intorno al castello e si arrampicarono fino alle finestre per vedere la figlia del re accogliere gli aspiranti: appena uno si trovava nella sala, restava senza parole. 
"Non vale niente!" diceva la figlia del re. "Via!" 

Entrò il primo dei fratelli, quello che sapeva il vocabolario, ma lo aveva dimenticato stando in fila; inoltre il pavimento scricchiolava e il soffitto era tutto uno specchio, così lui si vedeva a testa in giù; e poi a ogni finestra si trovavano tre scrivani e un capo scrivano, che scrivevano tutto quello che veniva detto affinché venisse subito pubblicato sul giornale e venduto all'angolo per due soldi. Era terribile; e inoltre la stufa era così calda che il tubo era diventato tutto rosso. 
"Fa così caldo qui dentro!" disse il pretendente. 
"E perché mio padre deve arrostire i galletti oggi" rispose la figlia del re. 
"Ah!" e si fermò; non si aspettava una simile conversazione e non seppe più che cosa dire, dato che voleva dire qualcosa di spiritoso. 
"Ah!" "Non vale niente!" concluse la figlia del re. "Via!" e così quello dovette andarsene. 

Cinque in un baccello di Hans Christian Andersen

Cinque in un baccello di Hans Christian Andersen
C'erano cinque piselli in un baccello, erano verdi e anche il baccello era verde, così loro credevano che tutto il mondo fosse verde, e avevano pienamente ragione! Il baccello cresceva, e anche i piselli crescevano, così si assestarono secondo la conformazione della casa, mettendosi tutti in fila.

Fuori il sole splendeva e riscaldava il baccello; la pioggia lo schiariva, c'era bel caldo e si stava bene, era chiaro di giorno e buio di notte proprio come doveva essere, e i piselli diventavano sempre più grossi e pensavano sempre di più: se ne stavano sempre lì seduti, qualcosa dovevano pur farla!
"Dobbiamo restare qui per sempre?" si chiedevano "purché non diventiamo duri a star seduti così a lungo! Mi sembra quasi che ci sia qualcosa fuori di qui; ne ho la sensazione!"
E passarono diverse settimane; i piselli ingiallirono e anche il baccello si fece giallo. "Tutto il mondo sta diventando giallo!" dissero, e ne avevano il motivo.

Poi sentirono una scossa al baccello; era stato strappato dalla pianta preso in mano e messo nella tasca di una giacca insieme a molti altri baccelli ancora pieni.
"Tra poco ci apriranno!" esclamarono, e si misero a aspettare.
"Mi piacerebbe sapere chi di noi andrà più lontano!" disse il pisello più piccolo. "Tra breve si vedrà!"
"Succeda quel che deve succedere!" replicò il più grande.

La favola dell'abete di Hans Christian Andersen

 La favola dell'abete di Hans Christian Andersen
In mezzo al bosco si trovava un grazioso alberello di abete aveva per sé parecchio spazio, prendeva il sole, aveva aria a sufficienza, e tutt'intorno crescevano molti suoi compagni più grandi, sia abeti che pini, ma quel piccolo abete aveva una gran fretta di crescere. Non pensava affatto al caldo sole né all'aria fresca, né si preoccupava dei figli dei contadini che passavano di lì chiacchierando quando andavano a raccogliere fragole o lamponi. Spesso arrivavano con il cestino pieno zeppo di fragole oppure le tenevano intrecciate con fili di paglia, si sedevano vicino all'alberello e esclamavano:
«Oh, com'è carino così piccolo!» ma all'albero dispiaceva molto sentirlo.

L'anno dopo il tronco gli si era allungato, e l'anno successivo era diventato ancora più lungo; guardandone la costituzione si può sempre capire quanti anni ha un abete.
«Oh! se solo fossi grosso come gli altri alberi!» sospirava l'alberello «potrei allargare per bene i miei rami e con la cima ammirare il vasto mondo! gli uccelli costruirebbero i loro nidi tra i miei rami e quando c'è vento potrei dondolarmi solennemente, come fanno tutti gli altri.»

E non si godeva affatto né il sole, né gli uccelli o le nuvole rosse che mattina e sera gli passavano sopra.
Quand'era inverno e la neve brillava bianchissima tutt'intorno, arrivava spesso una lepre e con un salto si posava proprio sopra l'alberello. “Che noia!” Ma dopo due inverni l'albero era così grande che la lepre dovette limitarsi a girargli intorno. “Oh! crescere, crescere, diventare grosso e vecchio, è l'unica cosa bella di questo mondo” pensava l'albero.

In autunno giunsero i taglialegna per abbattere alcuni degli alberi più grandi; questo accadeva ogni anno e il giovane abete, che ormai era ben cresciuto, rabbrividiva al pensiero di quei grandi e meravigliosi alberi che cadevano a terra con un fragore incredibile. I loro rami venivano strappati, così restavano lì nudi, esili e magri che quasi non si riconoscevano più, poi venivano messi sui carri e i cavalli li portavano fuori dal bosco.
Dove erano diretti? Che cosa ne sarebbe stato di loro?

In primavera, quando giunsero la rondine e la cicogna, l'albero chiese: «Sapete forse dove sono stati portati? Non li avete incontrati?».

Storia di una mamma di Hans Christian Andersen

Storia di una mamma di Hans Christian Andersen
Vegliava una mamma il suo piccino, piena d'angoscia perché temeva che le morisse: era pallido pallido, cogli occhietti chiusi, il respiro come un soffio; di tanto in tanto ansimava affannoso e la povera mamma guardava allora la sua creaturina con tanto dolore negli occhi.
Ecco: pìcchiano all'uscio, ed entra una povera vecchia avvolta ben bene in una grossa e calda coperta; era quel che ci voleva, una coperta simile, con quel freddo 
Fuori, neve e ghiaccio coprivano ogni cosa: soffiava un vento gelato e tagliente.
Siccome la vecchìa tremava di freddo e il bambino s'era allora allora addormentato, la povera mamma pose un po' di birra a riscaldare accanto al fuoco, per offrir la alla povera donna che intanto s'era seduta e cullava il piccino; anche la madre si sedette, accanto a lei, e guardando il piccolo malato, che respirava sempre più affannosamente, e prendendogli una manina, chiese alla vecchia:
Che pensi? Credi anche tu che il mio bambino mi sarà lasciato? Come potrebbe togliermelo il buon Dio?
La vecchìna, che era appunto la Morte, scosse il capo ìn una certa maniera, che poteva voler dire tanto di no quanto di si.
La mamma abbassò gli occhi, e grosse lacrime le scesero lungo le guance: sentì una pesantezza al capo (erano tre giorni e tre notti che non chiudeva occhio) e alla fine si addormentò... oh, ma appena un minuto, un minuto soltanto! ... 

Topolino di Luigi Capuana

 Topolino di Luigi Capuana
C'era una volta un Re, che più non viveva tranquillo, dal giorno in cui una vecchia indovina gli aveva detto:
- Maestà, ascoltate bene:
Topolino non vuol ricotta;
vuol sposare la Reginotta;
E se il Re non gliela dà,
Topolino lo ammazzerà.
Il Re consultò subito i suoi ministri; ed uno di loro disse:
- Maestà, è mai possibile che un topolino voglia sposare la Reginotta? Io credo che quella donna si sia beffata di voi.
Ma gli altri non furono dello stesso parere.
- Per evitare la disgrazia, bisogna distruggere tutti i topi del regno, mentre la Reginotta trovasi ancora nelle fasce.

I tre anelli di Luigi Capuana

I tre anelli  di Luigi Capuana
C’era una volta un sarto che aveva tre figliuole, una più bella dell’altra. Sua moglie era morta da un pezzo, e lui si stillava il cervello per riuscire a maritarle. Le ragazze non avevano dote, e senza dote un marito è un po’ difficile a trovarsi.
Un giorno questo povero padre pensò d’andarsene in una pianura e chiamare la Sorte:
- Sorte, o Sorte!
Gli apparve una vecchia, con la conocchia e col fuso:
- Perché mi hai tu chiamata?
- Ti ho chiamata per le mie figliuole.
- Portale qui ad una ad una; si sceglieranno la sorte con le loro mani.

Il buon uomo, tornato a casa tutto contento, disse alle figliuole:
- La vostra fortuna è trovata!
E raccontò ogni cosa. Allora la maggiore si fece avanti, ringalluzzita:
- La prima scelta tocca a me. Sceglierò il meglio!

L'albero che parla di Luigi Capuana

 L'albero che parla di Luigi Capuana
C'era una volta un Re che credeva d'aver raccolto nel suo palazzo tutte le cose più rare del mondo. Un giorno venne un forestiere, e chiese di vederle. Osservò minutamente ogni cosa e poi disse:
"Maestà, vi manca il meglio." 
"Che cosa mi manca?" 
"L'albero che parla." 

Infatti, tra quelle rarità, l'albero che parlava non c'era.Con questa pulce nell'orecchio, il Re non dormì più. Mandò corrieri per tutto il mondo in cerca dell'albero che parlava. Ma i corrieri tornarono colle mani vuote. Il Re si credette canzonato da quel forestiere, e ordinò d'arrestarlo.
"Maestà, se i vostri corrieri han cercato male, che colpa ne ho io? Cerchino meglio." 
"E tu l'hai veduto, coi tuoi occhi, l'albero che parla?" 
"L'ho veduto con questi occhi e l'ho sentito con queste orecchie." 
"Dove?" 
"Non me ne rammento più." 
"E che cosa diceva?" 
"Diceva «aspettare e non venire è una cosa da morire». 

Era dunque vero! Il Re spedì di bel nuovo i suoi corrieri.

Ranocchino di Luigi Capuana

 Ranocchino di Luigi Capuana
Questa è la bella storia di Ranocchino porgi il ditino, e sentirete qui appresso perché si dica così.

Si racconta dunque che c'era una volta un povero diavolo, il quale aveva sette figliuoli, che se lo rodevano vivo. Il maggiore contava dieci anni, e l'ultimo appena due.

Una sera il babbo se li fece venire tutti dinanzi.

- Figliuoli - disse - son due giorni che non gustiamo neppure un gocciolo d'acqua, ed io, dalla disperazione, non so più dove dar di capo. Sapete che ho pensato? Domani mi farò prestar l'asino dal nostro vicino, gli porrò le ceste e vi porterò attorno per vendervi. Se avete un po' di fortuna, si vedrà.

I bimbi si misero a strillare; non volevano esser venduti, no! Solo l'ultimo, quello di due anni, non strillava.

- E tu, Ranocchino? - gli domandò il babbo, che gli avea messo quel nomignolo perché era piccino quanto un ranocchio.

- Io son contento - rispose.

E la mattina quel povero diavolo se lo prese in collo, e cominciò a girare per la città.

- Chi mi compra Ranocchino! Chi mi compra Ranocchino!

Ma nessuno lo voleva, un cosino a quella maniera!

S'affacciò alla finestra la figlia del Re.

- Che cosa vendete, quell'uomo?

- Vendo questo bimbo, chi lo vuol comprare.

La Reginotta lo guardò, fece una smorfia e gli sbatacchiò le imposte sul viso.

- Bella grazia! - disse quel povero diavolo. E riprese ad urlare:

- Chi mi compra Ranocchino! Chi mi compra Ranocchino!

Ma nessuno lo voleva, un cosino a quella maniera!

Quel povero diavolo non avea coraggio di tornare a casa, dove gli altri figliuoli lo aspettavano come tant'anime del purgatorio, morti di fame.

Le arance d'oro di Luigi Capuana

Le arance d'oro di Luigi Capuana
Si racconta che c'era una volta un Re, il quale aveva dietro il palazzo reale un magnifico giardino. Non vi mancava albero di sorta; ma il più raro e il più pregiato, era quello che produceva le arance d'oro. 

Quando arrivava la stagione delle arance, il Re vi metteva a guardia una sentinella notte e giorno; e tutte le mattine scendeva lui stesso a osservare coi suoi occhi se mai mancasse una foglia.

Una mattina va in giardino, e trova la sentinella addormentata. Guarda l'albero... Le arance d'oro non c'erano più!
"Sentinella sciagurata, pagherai colla tua testa." 
"Maestà, non ci ho colpa. È venuto un cardellino, si è posato sopra un ramo e si è messo a cantare. Canta, canta, canta, mi si aggravavano gli occhi. Lo scacciai da quel ramo, ma andò a posarsi sopra un altro. Canta, canta, canta, non mi reggevo dal sonno. Lo scacciai anche di lì, e appena cessava di cantare, il mio sonno svaniva. Ma si posò in cima all'albero, e canta, canta, canta.. ho dormito finora!" 

Il Re non gli fece nulla. Alla nuova stagione, incaricò della guardia il Reuccio in persona. Una mattina andò in giardino e trova il Reuccio addormentato. Guardò l'albero... le arance d'oro non c'erano più! Figuriamoci la sua collera!
"Come? Ti sei addormentato anche tu?" 
"Maestà, non ho colpa. È venuto un cardellino, si è posato sopra un ramo e si è messo a cantare. Canta, canta, canta, mi s'aggravavano gli occhi. Gli dissi: cardellino traditore, col Reuccio non ti giova! Ed esso a canzonarmi: il Reuccio dorme! il Reuccio dorme! Cardellino traditore, col Reuccio non ti giova! Ed esso a canzonarmi: il Reuccio fa la nanna! il Reuccio fa la nanna! E canta, canta, canta, ho dormito finora!" 

25 mar 2019

La leggenda del Bucaneve

 La leggenda del Bucaneve
Narra la leggenda che tanti e tanti anni fa, al ritorno dall'ennesimo viaggio sulla terra, il giovane principe Bucaneve udì una fanciulla cantare e, di quel canto, si innamorò perdutamente. 

Arrivato nel Paese dell'Inverno, chiese a Re Gelo, suo padre, il permesso di sposarla ma questi, brontolando cupi presagi, rispose che il loro amore non aveva speranza perché la fanciulla era la principessa Primavera e abitava la regione dei venti e dei fiori mentre lui, Bucaneve, era il principe delle nebbie e del gelo... 

“Scordati, figlio mio, questa pazzia!” tuonò cupamente Re Gelo. Passò, così, un altro inverno lungo e silenzioso, ma il cuore di Bucaneve, abitato dalle brume del mattino, non riusciva proprio a dimenticare così, alle prime avvisaglie della nuova stagione, il giovane principe decise di attardare un po' il suo ritorno. 

Il fabbro e il diavolo - Fiaba cilena

Il fabbro e il diavolo - Fiaba cilena
C'era una volta un fabbro che amava molto il suo lavoro. 
Abitava presso un ruscello canterino, al margine di un crocevia di strade, queste verso il monte e quelle verso la valle.

Venne l'epoca delle visite pastorali e Gesù Redentore transitò davanti alla sua fucina, vide la forgia con la fiamma scintillante, le lime, le mazze e le tenaglie messe in ordine; gli piacque ascoltare quel martellare ritmico sull'incudine, gli piacque vedere la mano sapiente dare forma alle punte dei vomeri, alle curve dei ferri da cavallo, alle spirali e alle losanghe destinate a ornare le inferriate. 
Lo incaricò, dunque, di rimettere i ferri ai dodici asinelli che portava con sé. 
Risultò un bel lavoro, senza dubbio.

Quanto devo pagarti? chiese Gesù al fabbro. 
E quello, vedendolo povero per le poche cose che portava e pieno di polvere e stanchezza per il lungo viaggio compiuto: Niente. Ma ci mancherebbe altro! 
Ti auguro di proseguire bene il tuo viaggio.
Ma Gesù in realtà poteva tutto, e continuò: Domandami qualunque cosa di cui tu abbia bisogno e sarai esaudito!
Non ho bisogno di granché. 

La Llorona

La Llorona
La Llorona ( la “piagnona” ) è una donna che vaga per le strade portando con se in braccio un bambino. 

Ha un aspetto confuso, occhi profondi, vestita con stracci e non mostra mai il suo volto. Alcune leggende dicono che urla piangendo in cerca di aiuto, ma se qualcuno prova a prendere in braccio il suo bambino rischia di diventare la nuova llorona. 

Si dice che lo spirito della donna si trovi in luoghi solitari. 

La Madre Monte

La Madre Monte
Madre Monte ( letteralmente Madre Montagna) è una donna robusta ed elegante, che indossa muschio e foglie e un cappello verde che nasconde il suo volto. 

Vive nella fitta giungla e si dice che quando si bagna nei fiumi provochi inondazioni e forti temporali. Perseguita chi ruba la terra altrui e infonde epidemie sui proprietari di bestiame che usurpano campi o ignorano i confini. 

La Patasola

La Patasola
La patasola è una donna con una sola gamba, vive nella fitta giungla ed è particolarmente temuta da minatori, cacciatori , agricoltori , escursionisti e taglialegna, specialmente per il ritmo con cui si muove attraverso la giungla su una sola gamba . 

Alcuni dicono che la patasola appaia come una bellezza che attrae gli uomini nella sua tana per poi intrapolarli e rivelarsi una brutta donna dagli occhi spiritati . 

El Mohán

El Mohán
Il Mohan è uno dei mostri preferiti da tutti. 

Anche se esistono diverse descrizioni del Mohan, in generale viene descritto come una creatura enorme, coperto di capelli, con unghie lunghissime simili ad artigli. Ha gli occhi rossi e denti d’oro. 

I pescatori dicono che il Mohàn rovescia le barche e ruba le esche e gli ami. Le lavandaie sostengono che il mostro ammalia le ragazze con musica e trucchi magici. 

El Sombrerón

El Sombrerón
Il Sombreròn, detto anche l’uomo col cappello, è un hombre vestito di nero con un gran cappello dello stesso colore, montava sopra un cavallo nero e scompariva confondendosi con la notte, non parlava con nessuno e non faceva alcun danno a nessuno, appariva e scompariva per incanto

Un giorno morì, e da quel giorno il suo spirito è diventato il terrore di vagabondi, ubriaconi, peleadores e attacca brighe. Chi lo ha visto dice che sia sempre in compagnia di due grossi cani neri.

La madre dell'acqua - una leggenda colombiana

La madre dell'acqua - una leggenda colombiana
La madre dell’acqua è un mito folcloristico dei  fiumi Tolima e Magdalena Medio, in Antioquia.

La madre dell’acqua si presenta come una bellissima giovane donna con i capelli dorati e gli occhi azzurri, con uno sguardo penetrante e una forza di attrazione ipnotica. 

Si tratta di una vera e propria ninfa delle acque, ma i suoi piedi sono rivolti all’indietro in modo che lascia tracce nella direzione opposta a quella seguita. La madre dell’acqua cerca solamente i bambini, e li fa impazzire chiamandoli a bassa voce, con una dolcezza d’amore materno, ma con una forza d’attrazione che preoccupa i genitori. 

I bambini trafitti dalle frecce della Madre delle acque si ammalano,  sognano la bella donna bionda che li ama e la chiamano continuamente. Quando sono vicini al fiume la sua voce li attira portandoli in acqua in pericolo